martedì 7 agosto 2012

Uluru

Ore: 19.25
In cuffia: Have you ever seen the rain?
Posizione: 380 Km a nord ovest di Alice Springs
Intorno a me: il deserto
Sopra di me: la volta celeste dell'inverno australe

Lasciamo Uluru intorno alle sei e mezza di sera, dopo una giornata iniziata alle cinque e circa 450 km giá percorsi.
Ayers Rock. Uluru nella lingua degli aborigeni Anangu.
Il freddo pungente del mattino lascia spazio al calore del deserto, mentre l'autobus sbuffa verso la sua prima destinazione, i monti Olgas. Quaranta minuti di cammino sotto il sole per arrivare in una gola travolta dal verde. I fiumi qui sono upside down, corrono sotto terra e da fuori si vedono solo dei ciuffi d'erba verde argento che rappresentano la principale fonte di nutrimento dei dromedari.
I dromedari furono importati qualcosa come 200 anni fa dall'Afghanistan e dal Pakistan. L'Australia, e questa è una perla che non vedevo l'ora di raccontare, é l'unico posto al mondo in cui i dromedari vivono allo stato brado.
Arriviamo ad Uluru nel primo pomeriggio, anche se il suo profilo ci ha seguito per tutto il giorno.
Un monolite dell'altezza di 320 metri, con una circonferenza totale di quasi 9 km e a circa 860 metri sul livello del mare. Questa é Uluru, oggi tornata di proprietà della comunità aborigena, che ne condivide la gestione per 99 anni con il governo australiano.
Uluru é avvolta nella leggenda, essendo il luogo in cui i giovani aborigeni venivano sottoposti a prove per poter entrare a far parte del mondo degli adulti. Cave e dipinti rupestri fatti con ocra e sangue raccontano della vita di uomini e donne che vivono secondo la Tjukurpa, la legge tradizionale Anangu.
Una delle leggende piú diffuse, tuttavia, é quella per la quale anni di sfortune si abbattono su chi osa trafugare pietre o sabbia da questo luogo sacro.
All'interno del Centro di cultura aborigena c'è una sezione dedicata alle sorry rocks, le rocce delle scuse. Una piccola montagna di sabbia e pietre ritornate al loro luogo originario dopo aver portato indicibili disgrazie a chi ha osato toglierle dal loro posto originario. Le lettere che accompagnano queste rocce sono fra le cose piú divertenti che mi sia capitato di leggere.
La scalata della roccia, sebbene fortemente sconsigliata dagli aborigeni in quanto si tratta di una sorta di affronto alla sacralità del posto, attira oggi molti turisti (soprattutto giapponesi) che si cimentano in una ferrata la maggior parte delle volte molto al di sopra delle loro possibilità. Un lungo elenco di uomini e donne morti per attacco cardiaco fa bella mostra di sé all'attacco della salita. Nel caso qualcuno fosse ancora un po' indeciso sul da farsi.
Il centro di cultura aborigeno all'ingresso del parco é ben fatto e ti cala in un'atmosfera magica, fatta di canti gutturali e danze tradizionali.

Al margine di questo Uluru é una macchina macina soldi. Non c'è niente di spirituale né tantomeno emozionante nelle orde di turisti che ogni giorno arrivano qui per accalcarsi tutti insieme in un piazzale sorto a proposito, aspettare il tramonto e fare quelle 15/20 fotografie da mostrare orgogliosi, una volta a casa, a genitori, parenti, amici.
Intendiamoci bene, ero anch'io in questo gruppo di persone e sono molto felice di aver visto da vicino quello che da molti é reputato il simbolo dell'Australia, ma mi dispiace: niente di questo luogo incantevole mi é rimasto nel cuore. Troppo il contrasto fra i BBQ per turisti al tramonto e il valore che gli aborigeni danno a questo luogo. Qualcosa non funziona in questo modo di gestire le cose. Non puoi fare fotografie, ma puoi banchettare mentre qualcuno cerca di venderti timidamente i suoi dipinti. E nessuna delle spiegazioni che ho avuto finora mi ha convinto.
Sono ancora 12 ore ad Alice Springs. Devo assolutamente capire qualcosa di piú sugli aborigeni e il modo in cui é andata la loro integrazione. Ammesso che ci sia stata.

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